L’ENDURANCE ITALIANO AI PIEDI DI PATRIZIA

PERUGIA – E’ fin troppo facile presentare Patrizia Giacchero. L’endurance italiano 2007 è lei, col suo volto fiero e soddisfatto per una stagione indimenticabile, impreziosita da una collezione di vittorie una più bella e importante dell’altra. Le ultime, a distanza di una settimana l’una dall’altra, sono ancora sotto gli occhi di tutti e sono quelle che le hanno consentito di sbaragliare l’eventuale concorrenza al titolo di “cavaliere dell’anno”. A distanza di una settimana l’uno dall’altro, sulla bacheca sono finiti il titolo italiano assoluto e la Coppa Italia (quarti Carlo Di Battista e Caapriati dell’UEET). Ad attenderli c’erano risultati altrettanto prestigiosi, conquistati dall’inizio del 2007. Anno di grazia, impossibile obiettare, visto che prima della doppietta di Anghiari Patrizia aveva portato a termine la difficile President Cup (160 km) ad Abu Dhabi, vinto a Piancogno (120 km), chiuso al secondo posto a Parma (160 km con arrivo al fianco di Cutolo e vittoria in Best Condition) e vinto ad Assisi (120 km). Sono sensazioni raccontabili, Patrizia, quelle che le sta regalando questo 2007? “Sì e confesso che sono bellissime perché rappresentano anche il punto d’arrivo di un percorso lungo, al termine del quale è arrivata la meritata ricompensa a tanto lavoro e sacrifici davvero grandi. Queste vittorie sono un premio non solo per me, che ho portato in gara i cavalli, ma anche e soprattutto per un gruppo di persone che ha avuto la forza di credere in un certo tipo di lavoro e di gestione della preparazione dei cavalli”. Applausi e vittorie meritate, dunque, anche per Arnaldo Torre… “Su questo non ci sono dubbi, anche perché senza di lui sarebbe stato impossibile raggiungere questi risultati. Sono convinta che sia uno dei tecnici più preparati dell’endurance italiano e non solo. Stiamo parlando di una persona che concepisce anche il più piccolo dettaglio della preparazione dei cavalli e della gestione del team all’insegna della massima professionalità”. C’è un segreto svelabile alla base di quest’annata indimenticabile? “Sì e penso che sia la costanza del lavoro. Lo so, potrebbe essere il classico uovo di Colombo, ma è proprio così e i risultati di un cavallo come India lo dimostrano. Su India lavoriamo da quattro anni e non è stato facile portarla a un livello di stabilità di prestazione come quello che ha raggiunto. E’ stata una cavalla molto difficile, che ci ha dato anche grandi delusioni, ma alla fine il lavoro ha pagato. Vittorie come quella di Assisi o come l’ultima al campionato italiano sono state l’apoteosi”. Un programma, il vostro, che non disdegna esperienze all’estero. Si va per imparare? “Certo, non c’è nulla di male ad ammetterlo. Gareggiare in Francia, dove andiamo quando possiamo, o in Spagna rappresenta un momento di crescita di non poco conto. Del resto, è proprio dal confronto con chi è più bravo di te che riesci a capire cosa funziona e cosa non va. Se continuiamo a gareggiare sotto casa e ad accontentarci di vincere la garetta con dieci iscritti non andiamo da nessuna parte”. Difficile, però, pensare a questo indimenticabile 2007 come a un punto d’arrivo… “Infatti non l’ho detto, anche perché c’è da confermarsi. Il che, nello sport e soprattutto nell’endurance, è tutt’altro che facile. C’è da continuare a lavorare sui quattro cavalli che abbiamo qualificati per le 160 chilometri (India, Locace, Jerana de Lux e Abisynczyc – ndr.) e da impostare lo sviluppo in chiave agonistica per un gruppo di puledri sui quali crediamo parecchio. Di tempo per annoiarci ce ne sarà poco, questo è sicuro. E cercheremo di farlo traendo spunto dalle esperienze accumulate quest’anno”. A proposito di esperienze passate, che ricordo ha di quella vissuta ad Assisi per la Bab Al Shams Endurance Cup 2007? “In un aggettivo direi “indimenticabile”, ma non solo perché ho vinto”. E perché, allora? “Perché una gara di endurance come quella è la gara alla quale ognuno sogna di partecipare. Scenario da brividi, buon percorso e, ciò che più conta, gara vissuta in mezzo alla gente. Una corsa che passa dentro le città è il massimo perché è il futuro di questo sport, che ha bisogno della gente per raccontarsi e affermarsi. Ad Assisi è successo proprio questo e penso che si sia trattato di una gara indimenticabile anche per gli altri cavalieri. Nell’ultimo giro, dentro Santa Maria degli Angeli, ho percorso più di un chilometro fra due ali di gente, tutti con una bottiglia d’acqua da passarmi per bagnare India. Davvero unico. Sembrava una tappa del Giro d’Italia che arriva in montagna, in cui i tifosi apprezzano e rispettano lo sforzo degli atleti, in questo caso cavaliere e cavallo, cercando di aiutarli il più possibile”. Un ricordo così vale un appuntamento ad Assisi 2008? “Non c’è dubbio”.

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