PERUGIA – Importanti tanto quanto i bilanci sono le prospettive ed è proprio di questo che www.enduranceitalia.com ha parlato con Giorgio Laliscia (nella foto a fianco insieme al campione italiano assoluto Carlo Di Battista sul podio tricolore di Castiglione del Lago).Il 2005 che sta per passare agli annali è già storia per presidente dell´Umbria Endurance Equestrian Team, al quale interessa più che altro riflettere su ciò che sarà e su quelle che potranno essere le linee di sviluppo del nostro sport. Il tutto, sia chiaro, sulla base di ciò che è stato perché chi non sa da dove viene corre il rischio di non sapere dove porta il cammino che ha intrapreso.Di che tipo è il futuro che attende l´endurance? “Il nostro futuro sarà ricco di sfide e di grandi progetti e altrettanto spero che accada per l´endurance italiano, un movimento che non perde occasione di affermare la propria importanza all´interno della grande famiglia degli sport equestri. E´ bene non dimenticare che quello che stiamo archiviando è stato un anno storico per la Fise: prima del trionfo della squadra azzurra ai Mondiali di Dubai, l´ultima medaglia d´´oro in una manifestazione planetaria risaliva alle Olimpiadi di Mosca del 1980, quando Roman s´impose davanti a tutti nel completo. L´orgoglio che l´endurance italiano deve provare è quello di una disciplina pronta a rivendicare almeno pari dignità nei confronti delle altre”. Giorgio Laliscia con il professor Signorini, presidente del comitato organizzatore dei campionati italiani assoluti e della Nakheel Cuore Verde Endurance Cup 2005 (Foto Oreste Testa)Quali sono allora i passi da compiere per arrivare a questo traguardo? “Secondo me sono di due tipi, uno che potremmo considerare a carico del movimento e uno da parte della federazione. Quanto al movimento, a un numero di addetti ai lavori in costante crescita, penso che si tratti di continuare con lo stesso entusiasmo di questi ultimi anni, in cui allo slancio di chi scopre una disciplina alla quale appassionarsi è stata aggiunta una professionalità crescente. L´esempio che porto quando mi capita di affrontare questi argomenti è calzante: alcuni anni fa, quando il nostro team cercò di darsi un´impostazione strutturata e concepita con il concetto di staff, era l´unico; ora esistono diverse strutture di questo genere e anche il singolo atleta che si avvicina all´endurance lo fa senza prescindere da un approccio professionale. La passione è tanta e c´è sempre, questo è logico e dobbiamo rallegrarsi che sia così, ma è altrettanto fondamentale che si affermi il concetto che senza organizzazione non si costruisce niente. Quanto invece alla Federazione, penso che la Fise debba schierarsi in maniera netta rispetto al proprio rapporto con l´endurance. Se è una disciplina in grande crescita e, come dimostrano i fatti e affermano gli stessi dirigenti federali, capace di rappresentare al meglio l´Italia nel mondo, è necessario che alle parole seguano i fatti”.Di cosa ha bisogno l´endurance? “La Federazione lo sa benissimo, non fosse altro perché mi sembra che le sollecitazioni che arrivano dai praticanti siano di un certo spessore. L´endurance ha bisogno di certezze, cioè di interlocutori, regole e programmi. Proprio pochi giorni fa mi è capitato di scambiare alcune opinioni con cavalieri e responsabili di un altro team e ho trovato ulteriori conferme. Gli esempi che si possono portare sono abbastanza circostanziati. Mi riferisco, per esempio, al fatto che sta per iniziare l´anno che condurra ai WEG in Germania e ancora non è stata messa in piedi una struttura tecnica federale definitiva. Non a caso, agli ultimi due Mondiali a Dubai e in Bahrain e all’Europeo Open di Compiègne la nazionale è stata guidata da strutture, diciamo così, provvisorie. Se non programmiamo, ho paura che un trionfo come quello di gennaio passi alla storia come una vittoria casuale. Invece, abbiamo tutti il dovere di fare in modo che sia soltanto il punto di partenza. Quanto a regole e programmi, mi viene in mente la continua trasformazione di formula della Coppa Italia: penso che cambiare ogni anno non aiuti a dare importanza a una manifestazione. Lo stesso Trofeo Unire Giovani Cavalli, se è vero come è vero che si tratta della massima rassegna ispirata al ´vivaio´ e finalizzata all´incontro di tutti i soggetti che ruotano attorno all´endurance, dovrebbe avere collocazione e visibilità ben diverse. Quanto alle necessità che il mondo dell’endurance avverte in maniera pressante, c’è da sottolineare poi il disagio che tutto il movimento riceve dal fatto che siamo al 31 dicembre e non ci sono ancora formulazioni ufficiali e definitive del Regolamento 2006. Senza certezze di questo genere, sfido chiunque a programmare l’attività. Non solo la nostra, ma ci sono parecchie altre strutture che stanno già lavorando per il 2006; al momento, però, debbono farlo senza conoscere la parte più importante del cammino da compiere”. E cosa è disposto a fare l´endurance? “Quanto alle potenzialità del movimento, ritengo che risorse ne esistano. La grande sfida deve essere quella di ritrovarci tutti attorno allo stesso progetto, da stilare in maniera il più partecipata possibile e da condividere in modo convinto. Il rammarico che non possiamo permetterci di avere è quello di dilapidare la ricchezza di un patrimonio capace non solo di consolidarsi, ma addirittura di crescere. Noi dell´Umbria Endurance Equestrian Team cercheremo di continuare a lavorare per lo sviluppo di questo sport, come dimostrano i programmi che abbiamo stilato per l´anno prossimo e per quelli che lo seguiranno. Ci piace farlo e mi pare che nel corso degli anni abbiamo dimostrato di non tirarci indietro quando si tratta di contribuire allo sviluppo dell´endurance”.