HO UN AMICO IN PIU´, E´ IL DESERTO

A soli 15 anni ha vissuto un’esperienza speciale come la partecipazione alla Sheikh Mohammed Endurance Cup. Era impossibile non chiedere a Costanza Laliscia di prendere carta e penna, pardon di mettersi davanti al proprio computer, per raccontare le emozioni della sua prima 160 km conclusa nel deserto. La Sheikh Mohammed Endurance Cup è davvero una gara unica. Per capirla e viverla davvero non c’è altro modo che correrla. E’ stato proprio così e penso che difficilmente dimenticherò i 160 chilometri che ho affrontato e concluso insieme a Qualia, vivendo insieme a lei una giornata speciale. Io, che finora avevo vissuto le gare più importanti degli Emirati da spettatrice, o seguendo da vicino mio papà, stavolta mi sono trovata al centro dell’attenzione ed è stato bellissimo. Ho pensato esclusivamente alla gara, a gestire le sensazioni mie e del cavallo, cercando di distrarmi il meno possibile. Ho fatto solo due eccezioni alla massima concentrazione con cui ho affrontato la gara: è successo all’alba, poco prima della partenza, e mentre – al tramonto – imboccavo il vialone d’arrivo per tagliare il traguardo. In quei due momenti il deserto era proprio fantastico e non ho rinunciato a osservarne ogni sfumatura. Davvero bellissimo. Quanto alla gara vera e propria, di emozioni ne ho collezionate tante e stupende, a cominciare dal fatto di montare per Emirates Stables, una delle scuderie più importanti del mondo. Impossibili da dimenticare, però, anche tutti i chilometri fatti nel gruppo di cavalieri e amazzoni di grande esperienza e di altissimo livello come Maria Alvarez Ponton e Kamila Kart. All’inizio temevo di avvertire una sorta di timore reverenziale davanti a queste campionesse, ero preoccupata che non fossi stata all’altezza, invece man mano che la gara è andata avanti ogni timore si è trasformato in orgoglio e consapevolezza di essere proprio lì, insieme a loro. E’ stata la prima volta che sono stata così a contatto con i big e porto con me il grande ricordo di un rapporto per nulla condizionato dal blasone. Sentirmi chiedere da una bicampionessa del mondo se tutto andava bene, come mi sentivo e come sentivo il cavallo è stato fantastico. In gara, è proprio vero, non esistono differenze, oltre al normale senso di agonismo che c’è in ognuno c’è un forte spirito di solidarietà, di aiuto reciproco per quanto possibile. Galoppare nel deserto, poi, regala sensazioni bellissime, diverse da quelle che si avvertono in una gara in Europa, nella quale la concentrazione va messa soprattutto nella gestione delle andature in funzione dell’altimetria. Qui si galoppa quasi dal primo all’ultimo chilometro e l’unica preoccupazione è quella di sentire il cavallo e ascoltare i consigli di chi, nel deserto, ha gestito e gestisce gare ad alto livello. Il resto viene e accade in maniera automatica: l’organizzazione è al top e devi davvero preoccuparti solo del cavallo, al cancello veterinario le assistenze sono dei meccanismi perfetti, ognuno ha un suo compito e lo svolge al massimo dell’efficienza. E tu, così, puoi pensare solo alla gara vera e propria. E’ successo anche a me ed è stato proprio grazie a questa organizzazione che sono arrivata lucidissima all’ultimo giro, quando sono rimasta in un gruppo di quattro con Qualia che era il cavallo più in condizione. Più che stare nel gruppo ho dovuto impostare io l’andatura. Un altro momento indimenticabile: io, Qualia e il deserto davanti a me, con la linea del traguardo che diventava sempre più vicina e bellissima da tagliare. Costanza Laliscia

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