IL FUTURO DELL’ENDURANCE ITALIANO

PERUGIA – La china intrapresa dall’endurance italiano è tale da non autorizzare grandi entusiasmi, ma ciò non significa che appassionati e addetti ai lavori debbano arrendersi all’evidenza di risultati di poco conto e a bilanci minimi a livello internazionale. Il campionato europeo open di Barroca d’Alva delle scorse settimane, ma gli stessi World equestrian games dell’anno scorso segnalano un’Italia neanche lontana parente di quella che, in passato, era stata capace di crearsi una posizione di rilievo in Europa e nel mondo. Interrogarsi, quindi, è d’obbligo perché solo attraverso il confronto e il dibattito è possibile venire a capo dei problemi. “Il punto di partenza – commenta Gianluca Laliscia, vice presidente e cavaliere di punta dell’UEET – può essere proprio il fondo che stiamo toccando in questi anni. Si tratta di ripartire, ma per farlo c’è bisogno di programmi seri e di medio-lungo periodo, capaci di impegnare team, cavalieri e federazione in un cammino davvero comune. L’esperienza che ho avuto la possibilità di maturare agli Europei open, che ho seguito come osservatore, da questo punto è imbarazzante. Siamo molto lontani dall’eccellenza e le uniche prospettive che abbiamo di salire su un podio continentale o mondiale sono legate alle eliminazioni in massa dei binomi di altre nazioni. Francia, Spagna ed Emirati Arabi Uniti sono lontani anni luce. Inutile negarlo, tanto vale quindi affrontare la realtà una volta per tutte e capire che solo attraverso l’organizzazione e la programmazione, a tutti i livelli, possiamo risalire la china. Metto davanti a tutto l’organizzazione e la programmazione perché le ritengo più importanti di altri aspetti, addirittura delle risorse economiche di cui disporre. Organizzazione e programmazione vogliono dire mentalità, quella che l’endurance italiano dovrebbe acquisire in modo stabile per confrontarsi davvero a livello internazionale e non essere relegato al ruolo di comparsa”. Su lunghezze d’onda sinili dà l’impressione di ritrovarsi anche Antonio Rosi, il commissario tecnico che nei prossimi giorni dovrebbe affrontare il problema nella sua globalità nel corso di un incontro con la federazione. “Alla base di questa situazione per nulla esaltante – spiega Rosi – ci sono dei problemi che in parte sono strutturali ma che in grande misura sono dovuti alla mancanza di volontà da parte degli addetti ai lavori. Francia, Spagna ed Emirati sono lontani, lontanissimi, ma anche ad averci superato sono anche altre nazioni che fino a poco tempo fa non esistevano. Questo è il problema. In Portogallo, agli Europei, me l’ha chiesto senza mezzi termini lo chef d’équipe francese: ‘Ma com’è possibile che anche i belgi, che sono quattro gatti, fanno meglio di voi italiani?. Il fatto è che dobbiamo riconoscere una sostanziale disorganizzazione di tutto il movimento”. Si tratta, allora, di individuare figure di riferimento stabili e programmi seri. Il ct lo conferma con grande decisione, a conferma della passione e della competenza con cui sta interpretando il ruolo assegnatogli dalla Fise: “Io penso che un passo importante debba compierlo proprio la federazione, che attraverso il Dipartimento endurance dovrebbe tornare a essere l’elemento di traino da ogni punto di vista. Strutture del genere, per intenderci, dovrebbero avere un carattere meno politico e più tecnico. In questi organismi non possono non esserci atleti, tecnici e organizzatori. Alla fine di tutto, sono loro che hanno davvero il polso della situazione”. Presenze specializzate, secondo Rosi, garantirebbero prospettive di qualità e, ciò che più conta, eviterebbero qualche buon autogol. “In effetti – commmenta il commissario tecnico – a più riprese ci troviamo di fronte a calendari poco pensati per la crescita del movimento e a strategie tutt’altro che orientate alla crescita generale. La ‘coltivazione” di piccoli orticelli sta dando frutti disastrosi e i risultati si vedono. Di modelli, a cominciare dalla Francia, non ne mancano, ma bisogna avere l’umiltà di studiare queste realtà e trarne spunti da applicare altrimenti continueremo ad andare ognuno per la sua strada, a vincere questa o quella garetta, ma ad arricchire solo piccole bacheche. La compilazione dei calendari non può prescindere dalle capacità degli organizzatori: le gare importanti debbono avere priorità assoluta perché è solo attraverso questo genere di competizioni, quelle che mettono in condizione cavalli e cavalieri di dare il meglio e confrontarsi con i migliori specialisti mondiali, che si cresce davvero”. Pare quasi una rivoluzione, conoscendo i limiti dell’endurance italiano. “Quale sia la definizione giusta non lo so – risponde Rosi – ma è un dato di fatto che si debba fare qualcosa. E la federazinoe, da questo punto di vista, deve inorgoglirsi della possibilità di essere alla testa di questo cambiamento. Si tratta di lavorare e investire sui giovani, per esempio, e di non disperdere l’esperienza dei veterani. Il tutto, e questo è fondamentale, dimostrando anche nei fatti di credere in quello che si fa”.

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