PERUGIA – Commette il più marchiano degli errori chi individua nel cavallo e nel cavaliere le “entità” determinanti ed esclusive dalle quali dipende la vittoria di una gara di endurance. Cavallo e cavaliere contano tanto, ma nessun progetto andrebbe a buon fine se dell’equipe non facesse parte il maniscalco. Potrebbe Schumacher vincere gran premi a ripetizione se ai box non avesse quella squadra di prestigiatori che gli cambiano le gomme i sette secondi? Se non potesse contare su di uno staff che ne recepisce le sensazioni, trasformandole in piani di lavoro vincenti?
La storia che raccontiamo oggi è proprio quella del responsabile della mascalcia dell’Umbria Endurance Equestrian Team, Roberto Minnucci, che proprio in queste settimane si appresta a festeggiare il quarto anno di attività all’interno della squadra. Ha il suo quartier generale a Spoleto, in una vera e propria officina realizzata presso la clinica veterinaria di Massimo Elisei; è lì che vive con entusiasmo le emozioni di un mestiere unico, salvo poi esaltarsi in occasione delle gare, quando con il suo furgone milleusi riesce a trovarsi sempre al posto giusto, nel momento giusto e con la soluzione giusta, sistematicamente realizzabile a tempo di record, quasi fosse davvero uno degli addetti al pit-stop della Ferrari.
“Fino a febbraio 2000 – spiega il diretto interessato – mi occupavo solo della ferratura di Khaleb, il cavallo di Marco Ficara. Poi, alla vigilia di una gara in Puglia alla quale il team stava avvicinandosi con qualche problema di troppo a diversi cavalli, Gianluca Laliscia mi chiese di dargli una mano. Andò bene e da allora collaboriamo con grande soddisfazione. In certi ambiti, possiamo anche dire che abbiamo lavorato con successo anche alla messa a punto di tecniche nuove”.
Maniscalchi si nasce o si diventa?
“Nel mio caso, si nasce e ci si diventa. Ho iniziato, naturalmente per il grande amore verso i cavalli, dopo aver frequentato per tre anni la facoltà di Veterinaria. Quella che all’inizio pareva una sciocchezza, ora si sta rivelando una scelta non peregrina. Mi spiego meglio: quei tre anni di studi mi hanno aiutato e mi stanno aiutando tantissimo. Conoscere a fondo l’anatomia dell’animale è fondamentale per studiare la giusta ferratura. Approccio migliore non c’è, anche perché in Italia non ci sono strutture in cui la mascalcia viene insegnata in maniera strutturale. Quello che puoi rubare con gli occhi, invece, non basta più quando si ha a che fare con cavalli di alto livello”.
E tu ne hai ferrati di questi “big”?
“Orgogliosamente e anche grazie alle esperienze maturate con l’Umbria Endurance Equestrian Team devo dire di sì. Ho ferrato cavalli importanti che hanno corso a tutte le latitudini: dalla Sicilia alla Val d’Aosta, dagli Emirati Arabi al nord della Germania, dalla Sardegna alla Spagna e alla Francia. Cavalli, come nel caso di Jamil Bello pochi mesi fa, che hanno vinto anche una medaglia d’oro ai mondiali”.
Cavalli diversi, terreni diversi, situazioni diverse: come fa ad esistere una ferratura adatta per tutti?
“Infatti non esiste una ferratura buona per tutti i cavalli e per ogni situazione. L’unica certezza che ho tratto da questa mia piccola, grande esperienza è che non esiste una ferratura standard per il cavallo da endurance. Molti miei colleghi e non tentano di usare un solo tipo di ferri per tutti i cavalli, basta che siano usati per fare endurance, ma questo è assolutamente sbagliato”.
E allora come si fa a scegliere la giusta ferratura?
“Ci si arriva attraverso il lavoro di equipe, che all’Umbria Endurance Equestrian Team viene spesso portata addirittura all’estremo. Daltronde, però, non si può fare altrimenti. Alla ferratura più adatta per un cavallo si arriva dopo aver raccolto una miniera di notizie, date dalle persone che lavorano attorno a quel cavallo: cavaliere, veterinario, proprietario. Al maniscalco tocca trovare la soluzione migliore, il punto d’incontro, la sintesi di tutti i saperi. Niente male davvero come sfida: sai sempre da dove parti e non sai mai dove andrai a finire”.
Delle caratteristiche base, però, questa benedetta ferratura dovrà pur averne, no?
“La ferratura di un cavallo da endurance deve essere innanzi tutto protettiva per il piede e le articolazioni. Ho provato molti tipi di ferratura, anche in base al terreno di gara e posso dire che non ce n’è uno migliore di altri. In allenamento, di solito, faccio usare ferri a binda abbastanza larga, tipo il ferro prodotto da Viali, che poi se necessario sostituisco con ferri di Antonio Fusetti. Vanno molto bene anche i ‘rullanti’ di Colleoni e mi sono trovato bene anche con quelli di Fiorucci, anche se va detto che non tutti i cavalli accettano questo tipo di ferri”.
Esiste quindi una ferratura da allenamento e una da gara?
“Certo. In allenamento cerchiamo di prevenire con la ferratura i problemi che potrebbero insorgere all’articolazione del cavallo in quanto i terreni sono molto sconnessi. In gara, invece, usiamo quasi sempre delle solette di gomma, tipo Mustad, e molti ferri in alluminio in quanto si va alla ricerca di una sempre maggior leggerezza e del minor assorbimento di urti da parte dell’articolazione del cavallo. La soletta, una sorta di ammortizzatore artificiale, viene posta fra ferro e piede e va riempita con un impacco siliconico. Noi usiamo l’EquiPack, ma va molto bene anche il nuovo HorsePad”.